Non conosco le regole di lotto, enalotto, schedine e via dicendo ma per ragioni che non sto a spiegare ho deciso di conoscere più da vicino il misterioso mondo delle Ricevitorie.

Così, complice la Fra, eccomi alla Numero 5 (che da noi non si chiamano, si numerano), una delle storiche genovesi, con i muri tappezzati di suggerimenti e oggetti scaramantici.
La porta è sempre spalancata, in qualunque stagione, e dà su tre scalini di marmo che portano, a salire, in una stanza di una ventina di metri quadrati dove spiccano tre o quattro colorate slot machine sulla destra, adeguamento necessario ai tempi moderni, una mensola con piatti colmi di sale grosso, bamboline strane, erbe sconosciute e altri indecifrabili oggetti invecchiati dagli anni, pile di schedine d'ogni sorta da compilare e poi, sugli altri due lati, un bancone a L con l'imprescindibile divisorio di vetro che fa un po' sportello bancario o postale ma soprattutto mantiene le distanze tra giocatore e ricevitore.
Vediamo le schedine del winforlife e decidiamo di giocarci quelle, giusto per entrare timidamente a far parte in modo legittimo di quest'umanità che ripone nel Caso più fortuito le proprie grandi o piccole speranze. Siamo per il metodo Stanislavskij e crediamo nell'immedesimazione.

Il giorno dopo scopro di aver vinto ben 2,10 euro. Ossia di aver guadagnato dieci centesimi. Non sono propriamente una fortunata al gioco ma i Dii mi proteggono dalle ingenti perdite, a quanto pare.
Torno alla ricevitoria decisa a incassare e rigiocare.

Mentre mi incammino comincia a piovere, non ho l'ombrello, mi metto a correre, per fortuna non è lontana, nel frattempo squilla il cellulare e faccio in tempo a rispondere mentre sto arrivando. E' deserta, del resto fa freddo, è una brutta giornata e sono solo le due, la gente è ancora a pranzo. Per non dare fastidio resto all'ingresso, in fondo agli scalini, al coperto ma non nella stanza. Parlo senza alzare troppo il tono di voce e intanto tiro fuori dalla borsa la schedina.
Dopo un paio di minuti mi sento apostrofare con fastidio dalla signora dietro il bancone che, da laggiù, mi intima di andarmene. Immagino di aver capito male, la guardo sorpresa e lei ribadisce "Vada fuori a telefonare!". Fuori nel senso di sotto la pioggia che sta scendendo con particolare convinzione.
Incredula le spiego che sono lì per giocare e le mostro la schedina che ho in mano, che fuori sta piovendo e che ho ricevuto la telefonata mentre stavo entrando da lei, poi mi scuso con la persona al telefono, chiedo se posso richiamarla dopo, chiudo e salgo nella stanza.
"Mi scusi signora, non pensavo che fosse vietato stare al telefono" le dico consegnandole la scheda.
Lei tace, controlla, dichiara che ho vinto 2,10 euro, me li consegna, poi emette un altro foglio e mi dice "Sono due euro".
"Due euro per cosa?"
"Per la giocata".
"Quale giocata, non ho ancora compilato la schedina".
"Me l'ha detto lei che voleva giocare, sono due euro".
"Ma non la stessa schedina!"
"Me l'ha data lei".
"Per incassare la giocata precedente!"
"Be', sono due euro".

Il margine di discussione è palesemente nullo e mi parebbe comunque assurdo impelagarmivici con questa esimia rappresentante dei migliori clichè genovesi, per cui le riconsegno i due euro, prendo la nuova giocata e me ne vado.

Non credo capiti spesso di essere felici per non aver vinto.

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